Pittore e ceramista




Nella pittura di Stefano Giaché

Categoria : recensioni · di Set 3rd, 2009

…mi piace dire di Stefano Giachè. Da sempre dedito all’arte, si sta affermando solo da pochi anni con la sua opera pittorica che predilige, ed è il suo tema dominante, il paesaggio, in specie quello della campagna romana, sulle rimembranze del Gran Tour che ha portato in Italia artisti che vi hanno operato bene e a lungo come Hubert Robert, il tedesco Hackert, maestro di disegno e di pittura di quel grande che fù Goethe, anche per gli studi di ottica, di percezione del colore. Senza tralasciare i memorialisti quale il de Brosses vero anticipatore degli scritti di genere memorie di viaggio.

Non mancano, nella produzione, dei piccoli quadri, per le misure, che mi sono molto piaciuti dove l’artista con  brillanti tagli compositivi coglie degli angoli che valgono un paesaggio, descrivendo un mondo nell’attesa dell’occhio vigile e sensibile di chi andrà a scoprirlo e, nel caso, vorrà rappresentarlo sulla tela.

Molto belle per il brillante colore che ne consegue le opere dipinte su masonite, mentre in altri olii va cercata l’indicazione dell’artista che riconosce a dei grandi dell’ottocento quale Corot, di cui Giachè ha saputo estrapolare un dettaglio per creare un opera personalissima che rende omaggio al grande francese ma insieme afferma se stesso e la sua poetica.
La tavolozza usata da Stefano è fatta di colori chiari, delicati quasi fossero pastellati, atti ad esprimere una visione positiva del mondo, diversa da quella che ci appare oggi ed andando, per converso, a cercarla nelle vestigia suggestive degli innumerevoli ruderi dell’antica Roma, che decorano le campagne immediate ai confini della città.

In alcun i casi la sua poetica straniante ci porta fuori dal tempo e dello spazio per condurci nella fiaba , nel sogno e che resta fedele al suo stile pur richiamando un grande della pittura naive moderna quale Generalic. L’arte di Giache’ è un manifesto di denuncia teso a salvare ciò che resta di questo mondo, vivo fino agli anni sessanta, e che in poco tempo è stato stravolto dall’abuso edilizio.

Un’arte figurativa quindi, propria di un paesaggista doc, a volte modificando la realtà se lo ritiene, resa con stile personalissimo , un’arte simbolica e direi, e mi scuso per l’uso improprio dell’aggettivo, concettuale, da intendere qui nel senso che egli vuole esprimere in pittura il suo credo di uomo, di artista con la fiducia che questo messaggio venga accolto dagli uomini, come solo in parte è stato il protocollo di Kyoto.  Per concludere un’arte la sua che produce emozioni senza tempo e nella quale affiora, senza pesare, il pensiero nazionale che sostiene il suo poiesis.

Dott.  Alessandro Ferraro
(critico d’arte)

Pubblicato su “L’ATTUALITA”, periodico mensile di società e cultura – n. 6 – Giugno 2008

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